Description
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Considerando lo stretto legame che esiste tra il tipo di alimentazione animale e qualità degli alimenti che dagli animali di allevamento sono originati, le tecnologie di filiera che riguardano la produzione mangimistica sono a buon diritto considerate come parte integrante della filiera alimentare umana. Di conseguenza, la produzione mangimistica deve essere soggetta agli stessi controlli e attenzioni rivolti alle altre filiere più direttamente legate all’alimentazione umana. Inoltre, in un prossimo futuro il continuo aumento delle domanda commerciale di carne pone seri problemi legati alla sostenibilità ambientale delle produzioni alimentari di origine zootecnica. La componente proteica dei mangimi riveste un importanza particolare in virtù delle restrizioni all’uso di fonti proteiche di origine animale, alle preoccupazioni inerenti l’uso di piante geneticamente modificate e alla presenza di diossine negli estratti proteici di origine ittica. Allo stato attuale, la soia e i suoi sottoprodotti derivanti dall’estrazione dell’olio (panelli) costituiscono la matrice proteica più comunemente impiegata nei mangimi, mentre alcune leguminose da granella (pisello proteico e favino) e panelli e farine di estrazione di oleaginose (girasole, colza, lino, sesamo, e cartamo) sono considerate come proteaginose alternative. Queste tre categorie di proteaginose presentano sia punti di forza che di debolezza (analizzati in dettaglio alla sezione 7). Brevemente, gli inconvenienti dovuti all’impiego di soia e suoi derivati sono costituiti essenzialmente dalla natura OGM, che impedisce un uso in produzioni agricole biologiche o in filiere non OGM, le varietà di favino e pisello sufficientemente adattati ad ambiente più marginali sono poche e i panelli e la farine di estrazione presentano problemi sanitari dovuti allo stoccaggio. Esiste quindi la necessità di esplorare fonti proteiche alternative come integratori nei mangimi per l’alimentazione zootecnica. L’istituzione proponente, in collaborazione con l’unità operativa facente capo all’IBBR-CNR Struttura Secondaria di Perugia, è da tempo impegnata in uno studio riguardante l’impiego dei semi della leguminosa Vicia ervilia come fonte di proteine nei mangimi per animali di allevamento. Tale specie, comunemente chiamata veccia capogirlo, moco, moca o mociarino a seconda delle zone, era comunemente usata negli areali mediterranei (comprese le zone interne del Centro Italia) come integratore proteico nell’alimentazione zootecnica quando la soia non era disponibile. Attualmente, pur essendo impiegata in alcuni paesi del Nord Africa nell’alimentazione di piccoli ruminanti, V. ervilia è considerata una specie negletta. La collaborazione già in atto, ha permesso di allestire una collezione di germoplasma costituita da 54 accessioni corrispondenti a varietà ed ecotipi adattati in vari areali del Mediterraneo incluse alcune zone dell’entroterra dell’Italia centrale. Tali materiali sono stati analizzati per la capacità di produrre seme nelle condizioni pedo-climatiche dell’Italia Centrale. I genotipi più produttivi sono stati utilizzati per costituire una popolazione a larga base genetica la quale è stata moltiplicata su alcuni ettari per ottenere una quantità di seme per prove nutrizionali ed agronomiche. Tale popolazione evolutiva è già stata utilizzata in prove nutrizionali di conigli con risultati soddisfacenti (Russi et al., 2019). Sulla base dei risultati incoraggianti ottenuti in questa prima fase di sperimentazione si propone di continuare con questo argomento come dettagliato nella presente proposta progettuale, organizzata in tre linee di ricerca (Work Packages, WP) che si avvalgono delle competenze complementari di natura genetica, agronomica e veterinaria, maturate nella precedente esperienza. Il WP1 ha la funzione di coordinamento delle attività previste nel progetto. Il WP2 si prefigge di ottimizzare la produzione di seme del miscuglio in quanto uno dei problemi in alcune stagioni è l’allettamento delle piante durante lo stadio di maturazione del seme, con consistenti perdite. Si propone di perseguire due strategie: la prima basata sull’individuazione di genotipi eretti e capaci di mantenere tale habitus fino alla maturazione del seme attraverso lo screening del germoplasma disponibile (N° 54 accessioni); la seconda è di consociare V. ervilia con cereali autunno/vernini che fungano da tutor (es. orzo) a diverse dosi di semina e, a maturazione, verificare le proporzioni cereale/leguminosa per ottimizzarle in un razionamento. |